Pasta Le Chicche al ragù di anatra con scorzetta di arancia

Girovagando qua e là sono capitato a Malpensafiere durante una manifestazione sulla nutrizione, eco sostenibile e sul vivere olistico. Tra i vari espositori ho notato una piccolo stand che esponeva confezioni di pasta. Potevo non ferrmarmi a visitarlo? Potevo stare zitto e non chiedere nulla? Ma quando mai…

Ecco che nasce la prima di quattro ricette (quattro sono le confezioni di pasta) preparate con questa pasta eccezionale prodotta dal pastificio artigianale Le Chicche di Arco (TN).


Ingredienti per due persone

150 gr. di pasta Le Chicche al Teroldego
150gr. di coscia d’anatra (pulita, 320gr. circa all’origine)
1 arancia
1 scalogno medio
1 carota piccola
olio EVO q.b.
sale rosa del’Himalaya, sale rosso delle Hawaii
pepe della Giamaica
vino rosso Teroldego

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Preparazione

img_1488Pulire la carne d’anatra dalla pelle, qualora ve ne fosse, dal grasso, dai nervetti e, lavorando a coltello, ottenere una brunoise leggermente più grande del solito. La brunoise altro non è che una dadolata più piccola. Normalmente la dadolata consiste in cubetti di circa un centimetro di lato, la brunoise è una dadolata fatta da cubetti di due millimetri. In questo caso consiglio una brunoise con cubetti da circa cinque millimetri, quindi una brunoise più grossolana.

Soffriggere una brunoise (in questo caso della misura giusta… ormai la conoscete no?) di scalogno e carota in olio EVO.

Non appena lo scalogno imbiondisce aggiungete la carne d’anatra e lasciate che soffrigga per qualche minuto quindi sfumate con mezzo bicchiere da vino di Teroldego. Preferisco non usare sedano nel soffritto per evitare un sapore dominante sul resto degli ingredienti, il sedano è inconfondibile e in questo caso è meglio resti “defilato”.

Non appena evaporata la parte alcolica (bisogna sentire l’evaporazione a naso…) portare a cottura il ragù aggiungendo brodo leggero e facendolo “peppiare” coperto per almeno un’ora. Mescolare di tanto in tanto e verificare che non si asciughi, eventualmente aggiungere sempre brodo caldo, poco per volta.

Utilizzate del brodo leggero, meglio se vegetale per non turbare eccessivamente il sapore della carne d’anatra.

Spremete una arancia rossa e filtrate il più possibile il contenuto, risulta molto spiacevole sentire tra i denti la polpa dell’arancia; non è questa la sede di una spremuta classica. Del resto in questo caso non è importante includere tutte le proprietà nutrizionali del frutto quanto aromatizzare il ragù. Conservate un po’ di buccia per realizzare dei riccioli, con l’apposito attrezzo, che serviranno come guarnizione.

Lessare la pasta in abbondante acqua salata con sale rosa dell’Himalaya per 10 minuti, come da indicazione del produttore.

img_1499Trasferirla, dopo averla scolata, in una padella salta pasta con una riga di olio EVO, aggiungere il ragù ed il succo spremuto dell’arancia. Far saltare il tutto a fuoco vivace e servire con una macinata di pepe della Giamaica a mulinello e guarnendo con dei riccioli di buccia d’arancia.

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Cosa bere
Nessun dubbio: un buon Teroldego sarà il giusto accompagnamento di questo piatto in armonia sia con la pasta sia con le origini geografiche del pastificio.


img_1460In questa preparazione ho utilizzato una pasta prodotta dal pastificio artigianale Le Chicche, la quale possiede tutta la ricchezza della pasta integrale prodotta con grani italiani di altissima qualità e lavorata con la massima cura. Oltre alla selezione delle materie prime, il pastificio Le Chicche pone particolare attenzione anche all’essiccazione della pasta che deve avvenire a bassa temperatura per conservare intatte le proprietà nutrizionali del grano con la quale è prodotta.

Vediamo perché l’essiccazione a bassa temperatura:
i processi di essiccazione sono dei processi disidratanti. Se l’essiccazione avviene a più di 70° gran parte delle energie positive vanno perse. Da questo consegue che è di vitale importanza essiccare a bassa temperatura, mentre ormai la maggior parte della pasta, prodotta in maniera industriale, viene essiccata ad alte temperature.

Nei grandi pastifici la pasta viene essiccata in tre o quattro ore, con temperature che arrivano fino ai 130° e oltre.  In questo modo Il risparmio di tempi e di costi è notevole, ma avviene a totale discapito della qualità nutrizionale.

Durante l’essiccazione ad alta temperatura si perdono importanti sostanze vitali.
Già a 80° si hanno il 40% in meno di vitamina B1 e il 53% in meno di vitamina B2.
Anche il contenuto della Lisina e della Metionina, due aminoacidi essenziali,  diminuisce sensibilmente.

Inoltre, a partire da 60°, cambia la struttura dell’amido, il quale gelatinizza, diviene più duro e più difficile da digerire, però la pasta non scuoce e rimane “al dente” a lungo, così che noi consumatori pensiamo che sia di qualità migliore. Niente di più sbagliato.

Un altro aspetto importante da valutare è che la pasta essiccata ad alta temperatura è un prodotto morto, con energia nulla e attività vitale nulla. Una pasta essiccata a bassa temperatura invece rimane vivente.

Come con farina e acqua nella giusta quantità avviene una fermentazione che, guidata, può portare al pane, anche nella pasta essiccata avviene una “maturazione”, una leggerissima e impercettibile fermentazione e acidificazione che fanno parte del suo sapore e della sua qualità organolettica.

Complessivamente si può dire che una pasta essiccata a bassa temperatura è un prodotto naturale e per questo la sua cottura, come quella di un pane, avrà un punto e un tempo ottimali, con una tolleranza minore rispetto alle paste morte.

Ma cosa succede con la cottura della pasta?

Essa avviene all’incirca a 100° e non sempre significa perdita di qualità. Il grano spezzato, per esempio, aumenta la sua energia con la cottura e la pasta è fatta di grano e questa può essere vista come grano “spezzato” più finemente se è stata utilizzata una farina integrale invece della farina 00; ma l’utilizzo delle farine riguarda un altro capitolo della storia. Forse ne parlerò in un’altra ricetta.

In questo caso, quindi, chi distrugge la qualità non è la cottura, ma l’essiccazione.

Si può comprendere anche l’importanza della cottura “al dente”, che non a caso fa parte dell’arte culinaria italiana; la pasta al dente conserva un cuore dove la temperatura è rimasta più bassa e l’acqua calda è penetrata meno, e questo probabilmente fa raggiungere alla pasta una più alta vibrazione rispetto alla pasta scotta.

Ovviamente nell’industria della pasta vengono utilizzati dei sistemi per essiccare la pasta molto velocemente dopo la trafilatura, questi sistemi sono essiccatori a ciclo continuo.

Gli essiccatori a ciclo continuo possiedono settori di ventilazione forzata a diverse temperature per poter compensare un fenomeno dovuto alla accelerata essiccazione:
la superficie esterna della pasta, a causa della più forte diminuzione di umidità nell’ unità di tempo, tende a contrarsi velocemente, mentre il volume delle zone interne, per la lenta diffusione dell’acqua, si riduce molto meno.

Il risultato è che la zona esterna della pasta non può contrarsi, per cui in essa si creano tensioni, alle quali corrispondono compressioni nelle zone interne del prodotto.

Queste tensioni sono inevitabili e devono essere gestite adeguatamente attraverso un corretto rapporto temperatura/umidità dell’aria e una giusta sequenza di intensità di ventilazione e prolungando il più possibile la fase di stato plastico del prodotto, nel quale le tensioni possono rilassare facilmente. Quindi la pasta viene essiccata artificialmente, anche se il processo industriale tenta di riprodurre il ciclo naturale, ne consegue un pessimo assorbimento da parte dell’organismo durante la digestione.

Riassumendo i concetti basilari possiamo considerare che la pasta, dopo la trafilatura, deve essiccare a bassa temperatura e se prodotta “artigianalmente” va senz’altro preferita.

A proposito… Le Chicche essicca la pasta ad una temperatura massima di 40° con il solo aiuto di una ventilazione non forzata. Difficile trovare di meglio.

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