Se la giornata è uggiosa e il clima lo consente, un buon piatto di pasta e fagioli è sempre gradito.
Comincia tutto una domenica mattina, magari d’autunno, quando fuori il cielo è grigio ed il clima umido, la nebbiolina avvolge la vegetazione e gli odori sono quelli classici della marcita delle foglie.
Al solo pensiero di uscire vengono i brividi, si sente già l’umidità che entra nelle ossa e il divano con relativa copertina di pile attraggono molto più che l’aria fresca del mattino.
Il quadro è sufficientemente esaustivo? Bene. Mettiamoci al lavoro.
Ingredienti (per quattro persone):
500 g. di fagioli borlotti freschi
1 carota
1 patata piccola
1 cipolla
1 costa di sedano
10 pomodorini ciliegino
1 spicchio di aglio
80 g. di pancetta dolce
4 foglie di salvia
2 foglie di alloro
1 rametto di rosmarino
4 rametti di santoreggia
Peperoncino a piacere, sale, pepe, olio EVO
Per la pasta fresca:
200 gr. di farina di semola di grano duro
acqua tiepida
un pizzico di sale
Preparazione:
Versare la farina su di una tavola per impastare. Formare la classica fontanella e versarci dentro l’acqua tiepida con un pizzico di sale. Impastare la farina fino a formare un composto uniforme e morbido.
Filare un pezzo di pasta per volta, formando un bastoncino e, con l’aiuto di un coltello, formare i cavatelli. Disporli su dei vassoi da pasticceria e lasciarli riposare mentre preparate il resto. Se avete delle difficoltà (come me del resto) vi suggerisco caldamente di interpellare la mamma, la moglie, la suocera o la nonna. Insomma cercate qualcuno che abbia la “mano giusta” per aiutarvi a fare dei cavatelli all’altezza della ricetta.
Sciacquare i borlotti freschi in acqua corrente. Se non li avete trovati freschi potete anche utilizzare quelli secchi, ovviamente avendo l’accortezza di metterli a bagno in acqua la sera prima.
Tritare le verdure finemente a coltello e porle a soffriggere con olio EVO in una pignatta di coccio. Aggiungere immediatamente la patata tagliata a cubetti di mezzo centimetro circa di lato.
Aggiungere la pancetta dolce e lasciare cuocere ancora per qualche minuto. Unire i pomodori preparati in concassé. La concassè di pomodori si ottiene sbucciando i pomodori dopo averli sbollentati per meno di un minuto e privandoli dei semi e del liquido interno. Tagliare i pomodori a cubetti mediamente piccoli.
Preparare del brodo, un litro circa.
Legare le foglie di salvia e alloro tra loro in modo da contenere all’interno di esse il rametto di rosmarino. Sfogliare i rametti di santoreggia e scamiciare uno spicchio di aglio.
Unire i borlotti al soffritto e coprire con il brodo, Aggiungere le erbe aromatiche legate, la santoreggia e lo spicchio di aglio. Lasciare cuocere per 50 minuti circa mescolando di tanto in tanto e tenendo d’occhio la cottura. Se si asciuga aggiungere il brodo tenuto da parte in caldo. Aggiungendolo non deve assolutamente smettere di bollire.
A fine cottura regolare di sale e peperoncino a piacere.
Lessare la pasta fresca in abbondante acqua salata. Colarla al dente e incorporarla ai borlotti avendo l’accortezza di regolare, eventualmente, la consistenza della minestra con il brodo avanzato.
Servire in tegami di coccio con una leggera macinata di pepe a mulinello e olio EVO crudo a filo.
Curiosità
Normalmente i legumi, ed in particolare modo i fagioli borlotti, possiedono lo sgradevole effetto collaterale di fermentare nell’intestino producendo gas. Il processo è ampiamente noto, per cui non mi dilungherò sul come avvenga o perché. Prenderemo invece in esame l’effetto benefico della santoreggia aggiunta nella ricetta.
La santoreggia non conferisce un particolare gusto o aroma, se doveste toglierla dagli ingredienti probabilmente non ne notereste la differenza. Viene utilizzata principalmente per la sua proprietà di assorbire i gas prodotti durante la digestione.
Traduciamo in parole semplici e dirette: aggiungete la santoreggia per evitare il gonfiore intestinale, con conseguente evacuazione sonora e rumorosa dei gas prodotti. Adesso è più chiaro perché utilizzarla?
Cosa ascoltare: non so perché ma la pasta e fagioli mi fa sempre venire in mente i classici western di Bud Spencer e Terence Hill (al secolo Carlo Pedersoli e Mario Girotti). Una canzone molto famosa dei due, tratta dal celeberrimo film “Altrimenti ci arrabbiamo”, non riguarda i western all’italiana ma porta immediatamente alla memoria la situazione, ecco che la serviamo immediatamente: Oliver Onions, Dune Buggy.
Il consiglio di Angelo
Pasta e fagioli ricorda le giornate uggiose e sopratutto la nebbia ed il nebbiolo. E allora perchè non osare ed abbinare un buonissimo vino delle colline novaresi, un Boca DOC (azienda Le Piane, vedere nota); vitigno base nebbiolo, croatina e vespolina. Un vino importante che regge tranquillamente una bella cena a base di pasta e fagioli, magari accompagnata, per seconda portata, da un bel formaggio stagionato con polenta. In mancanza di un Boca, potremmo cercare un Ghemme oppure un Sizzano, tutti vini che vengono definiti MICRO DOC del piemonte. Vini molto simili per tipologia, per vitigno e per ubicazione.
Nota: Il declino del vitigno Boca inizia a fine ottocento, quando inizia il successo delle Langhe. Poi arriva la filossera e lo sviluppo industriale che decima le campagne a favore degli insediamenti produttivi. Arrivano gli anni novanta del secolo appena passato quando Christoph Kunzli, importatore svizzero di vini, capita a Boca. I vitigni sono rimasti pochi e sparuti, appena dieci ettari, sparpagliati tra i boschi che una volta ospitavano le vigne.
“La bellezza del paesaggio, lo studio del territorio con l’amico enologo Alexander Trolf e l’incontro con Antonio Cerri, uno degli ultimi produttori di Boca, convincono Christoph delle potenzialità uniche di questo terroir e della volontà di investire in esso per produrre grandi vini. Rileva quindi la cantina ed i vigneti di Cerri – anziano e desideroso di un appassionato successore – e fonda l’azienda agricola Le Piane.
Attorno a questo primo nucleo di vigna, tuttora produttiva, Christoph seleziona zone storiche da recuperare per l’impianto di nuovi vigneti: seminate tra boschi di castagni e querce, su terreni di varia composizione minerale e poste ad un’altitudine che arriva fino a 520 metri, crescono le nuove viti di nebbiolo (in vari cloni proveniente dalla Valle d’Aosta, alla Valtellina, alle Langhe), vespolina ed uva rara, fino a comporre gli attuali 8 ettari dell’azienda Le Piane, che inizia a vinificare dal 2004.
La riscoperta della storia passa anche attraverso il sistema di allevamento che per centinaia di anni ha contraddistinto la viticoltura di Boca e ormai in disuso perché non meccanizzabile: anche per i nuovi impianti si sceglie di mantenere la maggiorina antonelliana (secondo la rivisitazione studiata dall’architetto Antonelli) con tre viti che si sviluppano ai quattro punti cardinali, in quanto ottima per la produzione di qualità e la lavorazione manuale.
I presupposti per vini eccellenti ci sono tutti: vitigno, terroir, competenza; e poi c’è Christoph, con la sua etichetta bocaumanità, il suo legame con la terra, il rispetto per la natura e per la storia, la sua lungimiranza, la sua gioia. Un valore aggiunto difficile da descrivere a parole, ma imprescindibile dai suoi vini.” (fonte AIS Milano)
Commenta per primo